mercoledì 28 settembre 2016

Saru, gli atzechi e la grotta dell’amore

Andò dritto verso la sua femminilità abbeverandosi a quella che gli atzechi chiamavano la grotta dell’amore. Le fece sentire a lungo la voglia che aveva di lei finché, ormai pronta, non la penetrò insinuandosi tra le gambe ornate. Avrebbe potuto venire subito riempiendola con il suo nettare e invece il gioco durò parecchio. Le lingue cominciarono a cercarsi e a sfidarsi rincorrendosi in una sorta di danza indemoniata, vogliose di gustarsi il sapore che già sapevano avrebbe inebriato le menti. L’uno abbandonato nella morsa dell’altra per dare corpo all’idea di pos-sesso che non avrebbe mai limitato la libertà dell’altro. Contribuiva il desiderio ad alimentare quelle catene immaginarie che li stava legando in un sentimento che rendeva il loro gioco sempre più esaltante e unico. I colpi erano forti, decisi e ritmati come le risposte di lei che non amava stare impassibile mentre il maschio le offriva in dono quello che le spettava di diritto. Si immolava a quella divinità del sesso di cui era l’unico sacerdote con il potere di attraversare le porte del tempio sacro. Nella stanza non volteggiò neppure una parola, solo gemiti di piacere. Involontarie espressioni di godimento sfuggite al silenzioso controllo imposto dalla cerimonia sacrificale dei sensi e delle menti. Seguì l’esplosione che liberò i corpi dal flagello della sublimazione.
(Gioco mortale – Capitolo 25 – Cibo e sesso)

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